Capita spesso che si attivino copioni estenuanti, dai quali tutti escono stremati e mortificati, ed è all’ennesima scenata all’ultimo sangue, che generalmente iniziamo a chiederci se non ci sia un modo migliore per reindirizzare il comportamento dei nostri bambini. Ovviamente la risposta è SI, ma premetto anche subito che non dobbiamo aspettarci una formula tipo bacchetta magica che porta risultati immediati.
La domanda chiave a cui dobbiamo rispondere per capire qual è il giusto approccio è:
Certamente succede a tutti i genitori di sentire l’impulso incontrollabile di punire, di dare in escandescenza, di urlare e persino di sculacciare; perché abbiamo ripetuto una cosa un milione di volte, perché siamo stanchi, perché è l’ennesima situazione che non si infila per il verso giusto, perché anche fare cose banalissime come lavarsi le mani o mettere le scarpe, in certi momenti della vita con un bimbo, può diventare una vera e propria maratona sfiancante. Pochi di noi inoltre sono stati educati con un metodo diverso dalle punizioni, dalle sgridate e addirittura dagli sculaccioni, quindi ci è anche difficile rifarci alla nostra storia personale per trovare un modello che funzioni.
Fondamentalmente ci aspettiamo che i nostri bambini siano disciplinati, o sbaglio? Bene, allora dobbiamo in primis sapere che disciplina deriva dal latino discipulus, che significa “colui che riceve l’insegnamento di un maestro”.
Dunque, cosa significa insegnare? Le punizioni sono un metodo di insegnamento?
Se io ti punisco, ti insegno che un comportamento è negativo e lo sanziono. Manca però il secondo pezzo, nonché quello più importante, che ha invece a che fare con l’insegnamento sopra citato: promuovere un comportamento positivo che il bambino possa imparare a mettere in gioco quando è utile farlo!
Proviamo ad immaginare di dover aiutare qualcuno a raggiungere una località. Io posso scegliere di guidare questa persona dicendo: “No, quella strada è sbagliata! Non devi girare a sinistra, vai a destra! Adesso vai dritto…adesso stai li seduto finchè non avrai imparato a seguire le mie indicazioni…” e così via. Alla fine la persona arriverebbe a destinazione, ma cosa imparerà? E cosa potrà fare la prossima volta da solo, se io non sarò li ad impartire ordini?
Pensiamo invece ora di dargli in mano una bussola e insegnargli ad utilizzarla. Già la visione è del tutto diversa, vero? Quando avrà imparato ad usare la bussola, potrà andare ovunque, anche da solo, e questo gli darà una grande soddisfazione e lo farà sentire capace, in grado di gestirsi autonomamente e con efficacia. Certo, le tempistiche sono diverse, ma anche ciò che posso ottenere è sostanzialmente differente. Quando ti insegno ad usare la bussola ti resto accanto, con rispetto e affetto, e definisco limiti chiari e coerenti rispetto a come essa funziona.
Non si tratta di essere permissivi, ma di essere presenti, amorevoli e supportivi anche nel momento in cui dobbiamo prendere delle misure disciplinari.