Quando si parla di post partum, in generale tutti fanno riferimento alla famigerata QUARANTENA, comunemente considerata il periodo più tosto e delicato, soprattutto per le mamme. Ricordo mia madre che mi diceva: “Vedrai che alla fine della quarantena andrà meglio…” e io contavo i giorni, aspettandomi che allo scattare del quarantesimo giorno accadesse qualcosa di speciale, tipo che avere un neonato per le mani sarebbe diventato più facile e la mia vita sarebbe stata meno complicata. E invece sapete cosa succede dopo la quarantena? Niente. Assolutamente niente, zero totale.
Quaranta giorni sono considerati il periodo standard di ‘assestamento’ fisiologico, in cui teoricamente il corpo e la mente si rimettono in sesto dopo i nove mesi di gravidanza e il parto. Io francamente penso sia un lasso temporale molto ambizioso, tanto che forse non bastano neppure i 9 mesi di esogestazione per riassestarsi, perché il parto è un’esperienza talmente travolgente, da attivare una trasformazione inevitabilmente irreversibile e perchè i cambiamenti e le sfide a cui una madre va incontro sono quotidiane e continue.
Perché di fatto si tratta di un vero cambiamento di prospettiva dal “me” al “noi”, che è in primis genetico, dal momento che le cellule iniziano a contenere la memoria di un altro essere. Inoltre si assiste a una rivoluzione dal punto di vista fisico, psicologico, sociale, spirituale. Molti paragonano questo tipo di cambiamento a quello che avviene nell’adolescenza, quando gli ormoni si impennano e c’è uno stravolgimento della morfologia corporea, nonché dell’identità e delle relazioni.
Un cambiamento su così tanti fronti contemporaneamente è ovviamente faticoso e stressante: ecco perché spesso le mamme si sentono perse in questo periodo. Daniel Stern diceva che dare alla luce una nuova identità può essere tanto impegnativo quanto dare alla luce un bambino…come dargli torto?
Di frequente le mamme mi raccontano di provare vergogna o di sentirsi in colpa quando non riescono a sentirsi felici e appagate o quando si lamentano della loro condizione, mentre è assolutamente normale in alcuni momenti sentirsi spaesate, tristi, infelici, appesantite, stanche e chi più ne ha più ne metta.
Per questo è fondamentale parlarne e condividere le proprie storie, inclusi gli aspetti scomodi, perché questo aiuta a realizzare quanto questo stato di cose sia condiviso e “normale”. Per lo stesso motivo è anche importante frequentare altre mamme, per offrirsi un empatico supporto, rassicurazioni e reciproca comprensione.
Tutte le mamme sono vittime di un continuo tiro alla fune tra il gestire il loro bambino a tempo pieno (nuova identità), le altre componenti della loro persona (amicizie, lavoro, interessi, la vita intellettuale) e non da ultimo, la soddisfazione dei bisogni fisici di base (dormire, mangiare, fare sesso, andare in bagno).
Penso che sarebbe bello non parlare più di post partum, ma attivare un nuovo modo di vedere la transizione alla maternità, un concetto condiviso che permetta la valorizzazione di questo periodo evolutivo speciale e l’attivazione del corretto supporto nella rete di cui le neomamme fanno parte.
Se vuoi approfondire l’argomento, guarda questo bellissimo tedtalk della psichiatra Alexandra Sacks: