Mi è capitato diverse volte di sentir dire ad alcuni genitori di aver lasciato piangere i loro bimbi perché imparassero ad addormentarsi da soli. O anche di averli fatti piangere “solo per un po’”, finendo poi comunque per prenderli in braccio perchè piangevano così disperati che temevano gli venissero le convulsioni, o perchè stavano letteralmente “andando fuori di testa”.
Mi colpisce sempre il compiacimento di chi dice frasi tipo “e infatti poi DOPO MEZZ’ORA DI PIANTO è caduto in un sonno profondo!”, come a voler dimostrare che in effetti basta un po’ di perseveranza e i risultati arrivano e come se fosse questa la strada corretta.
Ma è davvero cosi?
In primis è importante spiegare che questo tanto atteso sonno profondo non è una nanna beata: un lungo pianto non consolato causa livelli di stress sono molto alti, tanto che il bambino si sopisce perchè attiva una modalità di difesa primitiva che lo porta a “disattivarsi” per preservare la sua omeostasi. La mancata riposta alle sue richieste d’aiuto inoltre genera inevitabilmente una perdita di fiducia nei genitori, che sono per altro le persone che il piccolo si aspetterebbe di veder correre in suoi aiuto quando si sente in difficoltà e pervaso dalle emozioni.
Quando si parla di questo argomento, spesso emerge il concetto che la capacità di addormentarsi sia una competenza che va insegnata. E se anche così fosse, qual è il momento giusto per iniziare questo addestramento? Perché di fatto nessuno si sogna di insegnare a un bambino a camminare quando ha 5 mesi, ma sul sonno le aspettative di indipendenza sono altissime già nei confronti dei neonati.
Proviamo a pensarci: immaginiamo che ad un certo punto, stanca di portare mio figlio in braccio, decido che a 5 mesi debba camminare. Allora lo “forzo” in una posizione che il suo corpo non è pronto ad assumere perché ritengo che sia importante che impari a muoversi autonomamente. Suona assurdo, non è vero? Nessuno si sogna di fare questo tipo di ragionamento sulle tappe di sviluppo motorio, rispetto al quale siamo abituati a rispettare i tempi dei nostri figli, ma sul sonno questo modo di pensare decade completamente.
I bambini sono esseri emozionali più che razionali e non sono in grado di capire perché li stiamo facendo piangere anche quando questo è per il famigerato “loro bene”. La verità è che ogni qualvolta non rispondiamo al pianto, i nostri bambini si sentono abbandonati. E’ probabile che un bambino che piange, prima o poi si addormenterà, ma se non andiamo alla radice del perché si è svegliato o non si addormenta, il problema di sonno rimane irrisolto.
Per questo motivo è importante sviluppare una cultura del sonno basata sulle norme biologiche, ridando all’aspetto psicologico lo stesso valore dell’aspetto fisico.