Viviamo in un periodo storico in cui c’è una vera e propria crisi di astinenza riguardante il tocco che viene tutt’ora demonizzato e scoraggiato con l’idea che i bambini si viziano se vengono presi in braccio. Questo ha favorito la diffusione di metodologie che sconsigliano il contatto come quella di Estivill, autore del noto libro “Fate la nanna”, o altre teorie educative a basso contatto incentrate sul “Teach but don’t touch” (“Insegna ma non toccare”).
Lungamente l’educazione è andata in una direzione diametralmente opposta ai bisogni primari e vitali del bambino e io mi trovo spesso a rassicurare le mamme additate da un sapere comune che di scientifico non ha nulla.
Vediamo insieme cosa dice la letteratura a tal proposito.
Negli anni ’60, gli studi di Harlow e Zimmermann hanno messo in luce come il tocco sia un canale di comunicazione cruciale per la formazione del comportamento: studiando le scimmie infatti, dimostrarono che l’assenza di tocco confortante induceva stress psicologico di lunga durata. Gli effetti del tocco nella riduzione dello stress sono stati confermati anche in alcuni studi effettuati sui roditori: quando i topolini venivano leccati e curati dalle madri, una volta diventati adulti, la loro capacità di rispondere efficacemente agli eventi stressanti risultava nettamente superiore.
La percezione del tocco è mediata dalla pelle, il nostro organo più vasto in termini di dimensioni e funzionalità, talmente importante da rendere il tatto l’unico dei cinque sensi senza il quale non possiamo sopravvivere.
Già nel grembo materno, il feto fa esperienze tattili precoci, in primis perchè è costantemente cullato dal liquido amniotico (che crea la prima esperienza di stimolazione tattile), in secondo luogo perchè mostra di aver già la capacità di rispondere in modo attivo al tocco affettivo che viene applicato sul ventre materno.
Recenti studi della cinematica sui gemelli al quarto mese di gestazione, hanno messo in evidenza come ci sia una differenza sostanziale tra il modo in cui i gemelli si toccano tra loro e il modo in cui toccano le pareti dell’utero, il che indica che già in una fase così precoce sia presente l’idea dell’altro.
A soli due giorni di vita poi, il bambino è già capace di integrare l’informazione visiva che riceve e la percezione somatosensoriale: guarda infatti più a lungo le immagini di sé accarezzato da un pennello quando al contempo viene veramente accarezzato da un pennello. Il tocco è infatti un elemento che aiuta il bambino ad integrare la sua esperienza: noi adulti integriamo le esperienze riflettendo e pensando, il neonato lo fa attraverso il contatto.
C’è di più: nel nostro corpo esistono delle afferenze (fibre amieliniche C tattili) collegate a specifiche aree del cervello che rispondono al tocco delicato e formano un vero e proprio sistema atto a rilevare specificatamente il tocco sociale perché esso ha una profonda importanza per la salute umana e il suo benessere.
A questo punto è evidente quanto sia importante che la mamma e il papà sappiano, non solo dare un significato agli stati mentali del bambino e comportarsi di conseguenza (es. consolarlo se piange), ma anche toccarlo in maniera corretta, ovvero far ampio uso del così detto tocco affettivo.
“E’ attraverso la pelle che diventiamo degli esseri in grado di amare, non s`impara ad amare sui libri, ma essendo amati.” (Ashley Montagu)