Quando una gravidanza si interrompe nel primo trimestre, c’è una sorta di sgomento che accompagna frasi ricorrenti (“purtroppo agli inizi è molto frequente…capita a molte donne…”), seguite da silenzi imbarazzati.
Nella nostra società siamo tutti impreparati ad affrontare la perdita di un bambino e anche se mentalmente sappiamo che i primi periodi sono delicati, fare i conti con questa triste realtà è pur sempre sconvolgente e doloroso. Non sappiamo come porci in questa circostanza (e nei lutti in generale), ma ancor più difficile è affrontare la morte prima della nascita, idea già razionalmente poco accettabile per sua definizione.
Chi si interfaccia con una perdita di questo tipo o la deve addirittura comunicare, sente un bisogno impellente di motivare ad andare oltre, di “far guarire” e dare nuove prospettive: l’approccio comune è in genere quello che sprona a riprendersi il prima possibile, che consola ricordando che sarebbero potute accadere cose peggiori, che cerca di rincuorare col buon vecchio “mal comune mezzo gaudio” e che si affretta a prefigurare nuove opportunità di gravidanza.
C’è un tempo fisiologico che ci chiede di stare con quello che sta accadendo, c’è un bisogno di provare a capire e ricostruire e dare un senso a quella relazione appena iniziata e già così carica di aspettative, pensieri, emozioni e cambiamenti che lascia un vuoto assordante.
E’ proprio quando si riceve la drammatica notizia, in quel momento di incredulità e di dolore sordo, che è necessario prendere delle piccole decisioni che possono però fare la differenza sul nostro vissuto e sul modo di superarlo. In questi accadimenti, che non dipendono da noi, abbiamo comunque l’opportunità di decidere come vogliamo affrontare ciò che verrà. Questo ci pone nella condizione di informarci e renderci consapevoli, fare i conti con le nostre reali risorse e possibilità, con le conseguenze, le nostre convinzioni, aspettative e desideri.
Abbiamo bisogno di uno spazio di ascolto e informazione, e tempo. Siamo tutti diversi e meritiamo e abbiamo diritto! di essere accolti e supportati secondo le nostre necessità e quando questo non ci viene correttamente offerto, dobbiamo ricordare che abbiamo il diritto di prendercelo.
I genitori a volte si chiudono nella coppia o addirittura in se stessi e questo fa sì che, in un momento così delicato, al dolore della perdita si assommi una crisi di coppia. Anche i parenti e gli amici, possono allontanarsi per incapacità di avvicinarsi al dolore e aggiungere cosi ulteriore sofferenza a un processo già molto faticoso.
Possiamo trovare supporto per affrontare tutto questo, senza bisogno di ridimensionare o modificare il nostro lutto, perché è solo riuscendo a viverlo bene, rispettando i nostri tempi, i nostri bisogni e le nostre emozioni che possiamo risolverlo davvero.
Ecco alcune risorse a cui attingere:
Ogni lutto è una ferita.
Le ferite, si sa, si richiudono.
Ma ad una condizione: che siano prima aperte.
Nulla termina nella psiche, che non sia prima cominciato.
P.C. Racamier