Più osservo il nostro modo di vivere la gravidanza e il puerperio, più mi sembra di osservare che la donna sia come relegata a un ruolo di traghettatrice del bimbo nel mondo: il focus è cioè costantemente sul bambino e solo di conseguenza ci si occupa della mamma, che deve essere monitorata in quanto suo “contenitore”.
Già in gravidanza capita che le persone smettano di rivolgersi a te al singolare (“Allora come state?”) o passano direttamente a “Il bimbo tutto bene?”. Ti proiettano continuamente sul “Quanto manca? Quando è previsto l’arrivo?”, per non dimenticare i famigerati “Adesso devi mangiare per due” etc… Ma fin li tutto ok.
Poi arriva il parto, l’evento più impegnativo e coinvolgente della vita, in cui vieni allargata, allungata, schiacciata in maniera sovrumana per portare il tuo bimbo alla luce. Il tuo corpo resta li, svuotato, cambiato, ora rampa di lancio per gli ormoni che lo attraversano da nord a sud come molecole impazzite e tu devi essere pronta per iniziare questa nuova vita col tuo bambino, con l’aspettativa generale che sarà la cosa più naturale del mondo, che l’istinto farà la sua parte e tutto sarà come nella pubblicità di una qualsiasi marca di pannolini, in cui una bella mamma, truccata, pettinata e radiosa, allatta sorridendo pervasa d’amore per suo figlio su un divano immacolato.
Diciamo che la sfida è alta e l’emozione può far girar la testa.
Ma se è chiaro a tutti che la mamma è fondamentale perché provvede al benessere del bambino, perché allora siamo ancora così lontani dal capire che prendersi cura delle mamme è il modo migliore per occuparsi anche dei loro piccoli?
Una mamma può fare tantissimo, ma non tutto.
Le madri devono essere guardate, ascoltate, sostenute, incentivate. Meritano una reale attenzione e un tempo dedicato. Ma visto che il nostro habitat sembra ancora far fatica con questi concetti, credo che ciascuna di noi debba tutelarsi, preparandosi prima a ciò che concretamente verrà poi.
Quando pianifichiamo il periodo postnatale, non siamo abituate a considerarci un duo e soprattutto non abbiamo idea di come sarà il bambino che incontreremo: ci prepariamo basandoci sulla nostra immaginazione, sulle nostre aspettative o speranze o ancora sulla base dei nostri ipotetici bisogni. Eppure queste nostre esigenze, sulle quali tanto lavoriamo e costruiamo nel pre, sono le prime ad andare sotto l’uscio quando poi ci troviamo immerse nella nuova realtà.
Quando lavoro con le mamme mi piace aiutarle ad attivare le loro risorse personali, affinchè possano attivare anche le risorse di chi hanno accanto in modo da ricevere il supporto necessario in linea coi loro reali bisogni. Non possiamo affidarci agli altri, confidare nel fatto che si comporteranno correttamente e faranno le cose giuste spontaneamente:
“Quali potranno essere le mie esigenze?” Mettiamole a fuoco e cerchiamo anche di capire chi potrà soddisfarle. Se impariamo a riempire prima la nostra tazza, saremo in una buona predisposizione per agire in maniera più calma, lucida e riposata nei confronti delle situazioni.
Prova a rispondere a queste domande:
E soprattutto…chi supporterà te?
Va bene se non conosci ancora le risposte a tutte queste domande, ma sappi che queste sono le domande a cui devi trovare una risposta che funzioni bene. E permettimi di anticiparti, che per quanto straordinario, il tuo partner non potrà fare tutto questo, perché, come dice il noto proverbio africano: per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio.
Un postpartum non supportato può essere isolante ed estenuante, per non dire pericoloso per la salute di una mamma. Quindi prova a pensare a questi aspetti pratici, metti a fuoco la tua rete di supporto e inizia ad attivarla ancor prima della nascita in modo che ciascuno sappia che cosa ti aspetti da lui/lei.